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Tradurre bene per tramandare (n. 21)

Come tradurre il “TE IGITUR...” ?

E ora, Padre clementissimo,
per Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore,
noi supplichevoli preghiamo,
e ti chiediamo di voler accettare e benedire questi doni,
questi omaggi, questo santo e puro sacrificio:
noi te lo offriamo anzitutto per la tua Chiesa santa e cattolica,
perché ti degni di pacificarla, custodirla, radunarla
e governarla su tutta la terra,
in unione con il tuo servo il nostro Papa N.,
il nostro Vescovo N.
e con tutti quelli che custodiscono la fede cattolica,
trasmessa dagli Apostoli.


Il primo fattore letterario che balza agli occhi in apertura della sezione epicletica del canone romano è la particella logica igitur [dunque].

Non si tratta in alcun modo di una particella espletiva, come voleva B. Botte (L’ordinaire de la Messe, 759). Posta nella giuntura tra le due sezioni, la particella del Te igitur svolge funzione strutturale, e va intesa alla luce di quelle particelle affini che si dispongono nel solco tracciato dalla locuzione veterotestamentaria we‘attà / kai nyn [e ora].

Il testo più eloquente che possiamo mettere in parallelo con il Te igitur del canone romano è la preghiera romana di benedizione del crisma, la cui sezione precativa inizia appunto con le parole «Te igitur deprecamur, Domine, Sancte Pater, omnipotens aeterne Deus...».

Per tradurre l’avvio del Te igitur vi sono due possibilità: «Te dunque, Padre clementissimo...»; oppure, «E ora, Padre clementissimo...». Se la prima suona alquanto dura, la seconda, oltre a stabilire un collegamento più dolce con la porzione laudativa del canone, rappresenta un ossequio alla particella logico-temporale per eccellenza dell’eucologia biblica, che è appunto il we‘attà / kai nyn.

Si potrebbe rendere il latino munera con «omaggi», per evitare di far intervenire qui il termine «offerte». Infatti nella sequenza che va dal Te igitur al Quam oblationem la coppia semantica offerre/oblatio è tecnica, in quanto costituisce il filo conduttore dell’intera sequenza, che – stante la testimonianza di due noti post-Pridie ispanici – ancora non possedeva il Communicantes e l’Hanc igitur.

La sequenza originaria può essere così evidenziata:

«Te dunque, Padre clementissimo, noi supplichevoli preghiamo di voler accettare questi doni, questi omaggi, questi sacrifici illibati,
(a) che ti offriamo (quæ tibi offerimus) per la tua Chiesa cattolica...
(b) ricordati dei tuoi servi che li offrono (qui tibi offerunt)...
(c) questa offerta (quam oblationem), tu degnati di renderla spirituale...».

Per uno studio su questa sequenza tormentata del canone romano e per la luce che promana dai due frammenti ispanici, cf In unum corpus, 20072, 382-392.